Vecchi e pochi sono i nostri mulini, perché già appartenendo agli antichi baroni, che soli aveano il diritto di costruirne, questi occuparono lungo i fiumi tutte le piazze da ciò; ed ora quando anche per altrui si trovasse un punto buono ad edificarvi, i proprietario dei vecchi molini gliene caverebbero di presente la voglia, avviluppandolo in litigi interminabili, o lo costringerebbero a spingersi su verso il capo delle acque per trovarvi una piazza cosí remota dall'abitato, che, come mostra l'esperienza, non gli torna gran fatto conto l'edificarvi. A questa gelosia dei proprietaria fanno ragione i grassi e facili profitti, che vengono loro dai molini. Una stanzaccia piantata sopra un altro terreno, bassa, cieca, ora a volta, od a travi, è ciò che presso noi si dice molino.
Il vaso a terreno (catoja e l'acqua) ha sul davanti una o due aperture arcate, secondo che il molino,è ad uno o due palmenti, le quali danno l'esito all'acqua; ha nel di dietro le docce che la ricevono, ed ha dentro di sé l'ordigno che mette in moto le due macini collocate nel vaso superiore. L'ordigno è semplicissimo: una ruota orizzontale ed a pale, di cui il mozzo dicesi miuolo, ed alape o palomelle le ali, riceve per suo asse il palo (fuso), il quale è una massiccia e verticale asta di legno. L'estremità inferiore del palo è di ferro acciaiato, dicesi rospo, e termina in punta rotonda. La punta rotonda del rospo gira nella broncina, ch'è pure di ferro acciaiato e dicesi rànula. La rànula è inchiodata sopra il ponte, ch'è una trave orizzontale, e dicesi staccia.
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