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      Ora le terre sono inculte, i capitali sono morti, o seppelliti nel Banco, o dati ad usura: che ne siegue? Ne siegue che il lavoro manca, che l'indigenza, e con essa il malcostume, l'ignoranza e il brigantaggio montano l'un dí piú che l'altro, e che le fonti della ricchezza sono inaridite!
      Questo stato deplorabile delle nostre industrie crea mille mali, e mille danni.
      Danno pei padri di famiglia, che non trovano dove impiegare i loro figli, essendoché i mestieri, l'arti e le professioni siano in un campo assai stretto per la loro attività; poiché se hanno mezzi di fortuna non possono uscire del trivio di essere o preti, o medici, o avvocati; e se non ne hanno per vivere, ognuno sa quanto pochi siano i mestieri, a cui applicarsi. Danno per la morale pubblica; poiché essendo poche le professioni, e molti coloro che le esercitano, la concorrenza tra questi partorisce odii, gare, calunnie, che fan sembrare noi Calabresi nati dai semi di Cadmo. Danno per la pubblica quiete; poiché un terzo dei nostri giovani dopo gli studi sterili di lingua e di filosofia, i quali rendono per quanto inutile altrettanto superbo chi gli coltiva, e quindi pieno di pretensioni e sempre scontento, si rimane senza professione; ed un altro terzo non trovando vie di lucro con quella ch'esercita, non vede altro argomento per uscire dai miseri termini, dov'è ridotto, che di sconvolgere il governo esistente. Danno per il carattere nazionale; poiché il culto esclusivo dell'arti belle, e Io spregio dell'utili ammollisce l'indole del popolo, lo fa amico dell'ozio, e dei piaceri, ignaro della vita pratica, vittima dei sogni dell'immaginazione.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319

   





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