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      Sore e sorelle n'aju sbrigognate (svergognate)
      L' aju cacciate di la signuria;
      Na munachella sula era restata,
      E si la tene lu compagnu miu.
     
      Ma non vedendo venire Agostino, s'arrabbia e dice:
     
      Vorra saperi che fa lu Cecatu
      C'un veni cuntra a chini affurca a mia (37)
      Púrbari (polvere) e palli ci n'avia lassatu,
      E na schiuppetta, ch'è 'guale alla mia
     
      Ma vedendolo venire, ripiglia:
     
      Vi' vi' ca vene Gustinu mio frate,
      E duna morte a chi a vo dare a mia.
     
      Agostino vestito da monaco, sale sulle forche col pretesto di voler confessare il condannato. Sale sulle forche, uccide il boia, ed aiutato dai compagni libera Martino.
      Martino tornato libero risolve di mutar vita, e va a confessarsi dal guardiano dei Cappuccini. Ma questi al sentir Martino, s'inchiavistella nella sua cella; sicché un frate terziario va a confessarlo; e gli dà per penitenza: "Ciò che non vuoi per te, non fare agli altri". Nino regala il monaco, e va a ricevere la benedizione della madre. Era tardi, e la madre dormiva. Voleva svegliarla ma si ricordò della penitenza impostagli, e sedette sull'uscio. Passarono i compagni, lo credettero una spia, e gli scaricarono i fucili addosso. Ma qual fu la loro sorpresa nel riconoscere Nino nel morto! Chiamarono la madre, lo portarono nella costei cantina, e lo seppellirono sotto una botte di vino.
      Ma il morto Nino era divenuto santo; e cosí s'era alzato, e inginocchiatosi dietro la botte, vi versava sempre del vino mercé un sarmento che teneva in bocca. La Giustizia, vedendo la madre a vendere sempre vino, e non comprare mai mosto, andò a frugarle in casa, e trovato Nino, e visto il miracolo lo fe' santificare.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319

   





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