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Il canonico Enrico Tazzoli veniva arrestato dal Commissario di Polizia Rossi la sera del 27 Gennaio 1852, traducendolo a piedi, benchè avesse una gamba piagata, fin alle carceri di Castello S>. Giorgio.
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I primi momenti di un prigioniero sono affannati dalla incertezza dell'imputazione, dalla speranza che nulla si scopra a suo carico; dal modo di mettersi in comunicazione co' suoi compagni e coll'esterno.
Ormai son note le ingegnosissime guise da ciò, sfuggenti alle più oculate indagini. Il Tazzoli molti scritti mandò a' suoi, aveva divisato il luogo dove alcuno dovesse mostrarsi, e che egli dal suo carcere avrebbe veduto lontanissimo, ma i suoi non indovinarono che tardi il suo artifizio. Abbiamo alcuno di quei brevi scritti, ove protestava di sua innocenza, ed esortava a darsi attorno per la sua salvezza.
«Atroci minacce se non parlo, ma io non so nulla. La zia Teresa si muova, e mostri che la tortura mal raggiunse il vero.
«B.... tormentato accusò me, che non so nulla. Sono in ceppi, privato di libri, con trattamento carcerario, e minacciato di peggio. Vescovo, Municipio, reclamino contro la tortura, anche al trono. Un giovane di Volta fu bastonato. Chi è? Da me non caveranno nulla, ma mi triboleranno inutilmente.
«La mamma si conforti, persuasa della mia tranquillità, e preghi il Signore invece di piangere. A mezzodì, alle 3, alle 4 guardo la torre del Duomo, e il portone della piazza......
«Cari fratelli, amiamoci assai e virilmente. Nella mia posizione, confesso che vi fu un istante di turbamento, in cui m'increbbe di essere amato da tanti che penano più di me.
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