Si trapiantano i rami delle rose, le calendule, ed una parte di fiori di state ottenuti da seme. Si cambia la terra a quelle piante che hanno ingombrato i vasi di molte radici. Si mettono all’aria aperta le piante delle regioni calde.
Le mandre di vacche ritornano dalle marine alle montagne.
Si mettono da parte per ingrassarsi i bovacci, le vaccacce, e tutto il bestiame scartato che deve vendersi nelle fiere di maggio.
Si continua a dare lo stallone alle giumente.
Si tramuta per la seconda volta il vino.
Nei luoghi freddi si comincia a fare schiudere i filugelli.
Si visitano spesso gli alveari per garentire le arnie dalla falsa tignuola (campa); si leva loro una porzione di miele, che da noi dicesi (sagnare); si sta in guardia perchè non si perdano gli sciami novelli; e si bada a svellere tutte le piante di titimalo (gamarruni) intorno agli alveari.
MAGGIOSi compiscono i maggesi.
Si miete nelle marine l’orzo, ed in alcuni luoghi anche il frumento; ma nelle montagne e nei paesi freddi si puliscono per l’ultima volta i seminati, svellendo con le mani l’erbe cattive.
Nelle contrade calde si svellono le fave secche ed i piselli, come pure il lino.
Ad eccezione dei luoghi boscosi e delle colline, si miete il fieno; mietuto si lascia asciugare al sole, rivoltandolo ove si possa. Se in questo tempo vien bagnato dalla pioggia, si aspetti finchè risecchi, onde legarlo in manipoli. Quindi se ne formano dei covoni (gregni) che fatti più secchi si trasportano vicino i campi da seminare e da maggesare, nei luoghi destinati a formare le bighe (burgi). Desse hanno presso di noi la forma di una gran capanna, e contengono dodici, quindici o venti migliaia di covoni.
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