Noi conoscendo qual peso meritano le osservazioni di questo esperto agricoltore, ed altronde persuasi che le difficoltà che ci si fanno non sono che lumi che ci si somministrano e mezzi onde rintracciare la verità, ci facciamo un dovere di sottomettere al giudizio dei coltivatori siciliani le ragioni che ci determinarono a stabilire quel principio.
Il sig. Distefano trova strana la proposizione da noi annunziata (Calendario 1820, febbraio) a proposito del sarchiare che «male fanno coloro che sarchiano in gennaro, e stoltissimo l’adagio: La zappudda di jinnaru inchi lu granaru».
Ciò che ci sorprende si è che egli trova giusto quanto ivi da noi si dice a proposito del sarchiare; conviene che deve evitarsi di farlo nei giorni piovosi e troppo freddi; che se la terra non è sciolta l’operazione è certo nocevole; che si rischia a far perire la pianta scoprendone le radici e lasciandole esposte al gelo, e trova poi strana la conseguenza che se ne tira che non convien far quel lavoro nel cuor dell’inverno. L’adagio che dai nostri villici si cita, considerato semplicemente come adagio, è giusto; considerato come precetto è falso. Tutti gli adagi in fatto di agricoltura sono condizionati, e quello di cui si parla deve intendersi che quando le circostanze permettono di sarchiare in gennaro quell’operazione è utilissima. Ma il dir poi che sempre è utile il sarchiare in gennaio è una proposizione stoltissima.
Noi preghiamo il sig. Distefano a riflettere a ciò che noi dicemmo l’anno scorso, che nel nostro Calendario noi avremmo regolate le operazioni agrarie su quel medio che più si avvicina alla generalità. Ora il sig.
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