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      Tale coltivazione farebbe naturalmente restringere quella de’ cereali, che si proporzionerebbe ben tosto a’ bisogni della Sicilia; il loro prezzo non potrebbe avvilirsi, perchè la produzione sarebbe pareggiata alla consumazione, ed il coltivatore incoraggito alla riproduzione.
      La coltivazione poi delle granaglie limitata a que’ terreni che quasi la reclamano, darebbe un prodotto comparativamente più abbondante e più regolare, con che si preverrebbero quelle strepitose alternative e salti nei prezzi, li quali a parer nostro hanno singolarmente contribuito al fallimento degli agricoltori. Ch’ignora che una pianta robusta, cresciuta in un suolo ferace, ha poco da temere delle contrarietà delle stagioni? e che all’incontro, ove il suolo ne sdegna la coltura, poco produce senza il fortunato concorso del tempo e delle meteore propizie alla lieta vegetazione? La introduzione delle buone macchine agrarie, la conveniente preparazione del terreno, la benintesa successione delle produzioni, possono, è vero, influire sulla bontà del raccolto dei grani, ma la fertilità del luogo è il più sicuro presagio dell’abbondanza del prodotto, ed è per queste ragioni che dovrebbe la coltivazione dei cereali, non più praticarsi indistintamente in tutti i terreni, ma restringersi solamente a quelli da’ quali può costantemente attendersi una raccolta abbondante.
      Finalmente, se più che nella quantità dei prodotti la ricchezza consiste nel loro valor permutabile, la coltura di piante più pregevoli, ossia di maggior valore del grano, non farebbe che accrescere la ricchezza nazionale.


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Calendario dello agricoltore siciliano
di Niccolò Palmeri
Tipogr. Pensante Palermo
1883 pagine 189

   





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