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      Veder non si può quindi con indifferenza andar seccando la fonte principale della ricchezza di questo paese, la fertilità delle sue terre, e da ciò derivarne non solo la diminuzione dei prodotti, o sia di quella massa di valori a noi necessarii per pagare l’immissione straniera, della quale non possiamo dispensarci, mancando a noi attualmente le manifatture, ma provenirne ancora il difetto di lavoro e d’impiego per la mano d’opera, e quindi col mancamento della sua rendita estendersi la miseria nella classe più utile dello stato, cioè ne’ lavoranti. È perciò che nelle presenti circostanze della Sicilia, in cui la mano d’opera comincia a scarseggiar di lavoro, crediamo del massimo interesse insinuare la coltivazione di quelle piante, il di cui prodotto lordo sia considerabile, perchè se non in tutto in gran parte la differenza tra il prodotto lordo ed il netto rappresenta il lavoro della mano d’opera, o in altri termini la rendita di quest’ultima. Una produzione dunque più ricca nel suo prodotto lordo accresce realmente la massa de’ valori, ed appresta più impiego agli operai, per lo quale si arreca più di commodità alle famiglie dei lavoranti, e più di ricchezza e di mezzi d’accrescerla allo Stato. Sappiamo bene che in agricoltura non si mira, che al prodotto netto, ma noi siamo al presente in circostanze tutte particolari, per le quali possono per il lato economico aver luogo dell’eccezioni. Nella coltura poi del cotone anche il prodotto netto è considerabile, e sembra perciò che questa pianta riunisca al vantaggio di un ricco profitto di capitali quello d’un più esteso impiego della mano d’opera.


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Calendario dello agricoltore siciliano
di Niccolò Palmeri
Tipogr. Pensante Palermo
1883 pagine 189

   





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