Siffatto sperimento dimostra che al bene che si recherebbe alla umanità coll’abolizione della coltura del riso indigeno, andrebbe anche unita la feracità del prodotto; ma considerando che non sarebbe agevole a tutti il provvedersi di tale specie di cereale, si è voluto anche tentare, se il nostro potrebbe coltivarsi a secco, cioè colla irrigazione soltanto e senza la inondazione, ossia senza la residenza dell’acqua, ed avendolo eseguito nella stessa contrada dei Colli, ne diamo il risultato:
Si concimò la terra di una aiuola di palmi 4 di quadro, come la precedente, e nel mese di marzo vi si seminarono 130 acini di riso umido, che fu inaffiato nello stesso modo che quello della Cina. Le sarchiature però si facevano secondo il bisogno. Ai 7 ottobre si svelsero 680 spighe, e se n’ebbe tanto riso che superò 291 volte la semenza.
Che se mai, con sì fatto modo di coltura, non ne ritrarrebbe l’agricoltore siciliano giusto quel lucro che il metodo ordinario suole apprestare, dovrebbe tuttavia adottarlo, se per poco ei si fa a riflettere quanto bene ne verrà ai suoi compatriotti, e di quale gratitudine ei si renderebbe meritevole.
Carlo Cottone
Principe di Castelnuovo
XXIV.
CENNI INTORNO AL MAGGESEDue quistioni possono farsi intorno al maggese. È questo un buon preparamento per la seminagione de’ cereali? il vantaggio che arreca rifà l’agricoltore del capitale impiegato? A ciò deve aggiungersi un terzo esame: posto che il maggese non sia profittevole, qual altro preparamento potrebbe sostituirvi l’agricoltore siciliano con suo maggior profitto?
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