È certo disgustosa l’idea, che per l’uso dei maggesi l’agricoltore siciliano sia condannato ad una perdita quasi certa, ma è anche più disgustoso il pensare, che siffatto male sia poco suscettibile di rimedio; conciossiachè la brevità dei nostri fitti, l’estensione dei fondi che noi prendiamo a coltivare, l’ignoranza della maggior parte dei nostri agricoltori, e più che tutto la mancanza dei necessarii capitali, impediscono che l’agricoltore siciliano possa adottare in un istante un avvicendamento più lungo e meglio inteso, che sarebbe il vero rimedio del male. E se pure cotali ostacoli non esistessero, sarebbe sempre follia lo sperare che un popolo per colto che sia, rinunzii di primo lancio alle consuetudini ed ai pregiudizii tramandati per lunga serie di generazioni. Tutto ciò che noi possiamo desiderare si è che gli agricoltori siciliani contassero più sulla pastorizia e meno seminassero. Nè farebbe mestieri pigliare a fitto maggior quantità di terre per accrescere le loro mandre; che allora poco o nulla migliorerebbe la loro condizione; ma noi vorremmo che eglino non aspettassero dal caso il pascolo del loro bestiame, ma seguendo l’esempio delle colte nazioni si procurassero un prato artificiale. Ed uno eccellente ne offrirebbe il nostro suolo nella sulla, hedysarum coronarium, la quale non esige veruna spesa. Essa si semina assieme col frumento prima di maggio; non nasce, e nata resta appena visibile, ma segato il grano e cadute le prime piogge, viene in pochi giorni così rigogliosa come lo è ordinariamente di aprile: può falciarsi la prima volta in febbraio o marzo, e poi in giugno.
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