Seminata una volta può durare cinque ed anche sei anni senza altra cultura, che una sarchiatura in autunno, e se si volesse dopo in un tal prato seminar frumento, vi verrebbe assai meglio che sopra maggese, ed anche favate.
Per tal modo in quella stessa superficie, in cui l’agricoltore mantiene oggi dieci animali, trenta potrebbe mantenerne: e se potesse far uso di stalla, se più attenzione mettesse a raccorre, a crescere e curare i concimi, potrebbe egli seminare maggior quantità di fave ed altre piante baccelline, talchè pochissima sarebbe la quantità dei maggesi, che del tutto sarebbe assai difficile il bandirli nelle circostanze attuali.
È questo il solo compenso, cui a creder nostro, potrebbero oggi ricorrere gli agricoltori siciliani, senza aver bisogno di maggiori capitali e senza ingolfarsi in nuove pratiche sempre di dubbio evento. La riforma è in sè stessa di poco momento, ma essa è di sommo rilievo, ove si consideri che per tal modo avrebbero i nostri coltivatori un ottimo avviamento per adottare più profittevoli metodi, sperando al tempo stesso di venir non solo a ciò incoraggiti, ma anche protetti.
XXV.
DEL GOVERNO DELLE API.
Tra le varie produzioni che ci appresta l’agricoltura, di non lieve utilità debbono riputarsi quelle che ci somministrano le api, laonde ci siamo determinati a proporre ai nostri contadini alcuni regolamenti sul modo di governare questi pregevolissimi insetti. Ci danno essi due interessanti produzioni, cioè la cera ed il miele, per la prima delle quali non essendo sufficiente al consumo che nell’isola se ne fa quella quantità che presso noi si produce, siamo costretti con nostro discapito a provvedercene dall’estero, e per la seconda ne potremmo tirare non poco profitto, smaltendone fuori il superfluo: specialmente che, secondo la testimonianza degli antichi scrittori, ha goduto il nostro miele la preferenza sopra di ogn’altro.
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