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      In tutti i miglioramenti che potrebbero farsi nell’agricoltura siciliana, e non si fanno, i proprietarii sono scusabili per la mancanza di capitali: in questo però la loro incuria è proprio mellonagine; dacchè, lungi dall’esser necessario alcun capitale, un gran guadagno potrebbero avere dal miglioramento stesso; tanta copia di legno potrebbero essi trarre dall’innestare e diradare quei boschi.
      Diradati ed innestati tali uliveti, non hanno mestieri di coltivazione: gli ulivi nati spontanei in terreno sodo, vi vengon bene, purchè distassero l’un dall’altro, in modo che le radici potessero spandersi, e liberamente vi circolasse l’aria, la quale serve quanto la terra al nutrimento degli alberi, e più di essa alla loro fruttificazione. La mano dell’uomo non deve impiegarvisi in altro, che a ripulirli dai seccumi e dai polloni selvatici che vengono su dal pedale, e potarli quando fa d’uopo.
      Non è lodevole il seminar frumento od altra biada in tali uliveti: si perde del frutto degli alberi più che non si guadagna nel prodotto della terra. Assai più rea è la pratica di bruciar la seccia dopo segate quelle biade; la fiamma inaridisce le radici superficiali degli alberi, e ne dissecca in modo la corteccia, che presto screpola, ond’essi intristiscono.
      Gli ulivi poi da porsi in terren coltivo ricercano altre cure. Non accade far parola del modo di aver polloni in copia e di buona specie, avendone fatto cenno l’anno scorso: è bene solo avvertire, che gli ulivini si pongano alla distanza d’un sessanta palmi l’un dall’altro, in file regolari, in modo che in tutte le direzioni formano linee rette, ciò che i Francesi dicono a quinconce.


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Calendario dello agricoltore siciliano
di Niccolò Palmeri
Tipogr. Pensante Palermo
1883 pagine 189

   





Francesi