Perchè poi gli ulivi presto e bene attecchiscano, si pianti con essi (e meglio prima) il suolo a vigna: la coltivazione di questa serve al rapido crescer di quelli; il podere non lascia di dare un prodotto, finchè cominciando a fruttificare gli ulivi, la vigna di per sè vien meno.
Columella riferisce l’antico adagio degli agricoltori romani: Qui arat olivetum, rogat fructum; qui stercorat, exorat; qui caedit, cogit. In queste poche parole è compreso quanto può dirsi intorno alla coltivazione degli ulivi: zapponare, concimare, potare: ecco tutto.
Si zapponano gli uliveti verso il solstizio d’inverno; e questo lavorio dev’essere assai profondo, perchè le pioggie iemali penetrino a saziare le più profonde radici degli alberi.
Sarebbe da imitarsi la pratica degli antichi Romani, i quali scavavano come una fogna al pedale dell’ulivo, e dalla parte più elevata del suolo vi facevano uno o più solchi di scolo. Per tal modo, non solo le acque piovane erano tutte assorbite, ma trasportavano in quelle fogne tutto il fiore della terra, misto alle sostanze animali e vegetabili sparse nella superficie del suolo; e cumulavasi però nel pedale degli alberi una pinguissima belletta; onde ne venian concimati con poca spesa.
Ciò e’ lo chiamavano oblaqueare oleas. Il secondo lavoro è poi da farsi, avanzata la primavera, per estirpare e far sovescio di tutte l’erbacce.
Utile poi oltremodo è il seminare a civaie ben concimate l’uliveto. Gli alberi si giovano così della coltivazione e del concio; e l’agricoltore si rifà d’una spesa, che senza di ciò sarebbe perduta.
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