Ma come raccettare tanta quantità di concime? È questa la difficoltà di coloro che per concimi intendono il solo fimo; e questo stesso poco studiano a raccorlo e niente a curarlo, onde accrescerne l’attività e la quantità. In tali non vasti oliveti, in cui non è bestiame, l’agricoltore deve in altra guisa procurarsi il letame. Spazzando le strade di alcuna città o villaggio vicino, può ogni giorno raccogliersene gran copia: la melma lungo le strade di campagna più frequentate è ingrasso efficace: la morchia stessa delle ulive è un concio così potente, che sparsa sola ne’ campi, l’inaridisce come l’urina; ma postovi entro a macerare strame, tritume di paglia o di fieno, le frondi stesse dell’ulivo e d’altri alberi, e mista a terra calcare, può usarsi con sommo profitto.
I Romani dicendo che col potare gli ulivi si forzavano a dar frutto, intendevan mostrare che, malgrado lo zappare e il concimare, può ben accadere che l’ulivo non fruttifichi; ma è impossibile che sterile rimanga, ove sia ben potato. Da noi si pecca intorno a ciò in due modi: o si trascura affatto questa interessantissima operazione, o gli alberi si potano all’impazzata, tagliando spesso i rami madornali, che dovrebbero lasciarsi, e lasciando quelli che sarebbero da recidere. «L’arte di ben potare gli ulivi, dice savissimamente il Gandolfi, non consiste in altro che nel tenere sgombrato l’ulivo di qualunque siasi specie, da’ rami o mal cresciuti, o languidi, o quasi secchi; e nel diradar l’albero in maniera da poter essere ben dominato dal sole e dall’aria in ogni sua parte interna ed esterna, affinchè non vi sia neppure un ramo, il quale nel decorso del giorno non goda i benefici influssi dei raggi solari diretti o riflessi.
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Romani Gandolfi
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