» (Saggio teorico-pratico sopra gli ulivi. Sez. 1a cap. 7, § 116). Nell’eseguire poi la potazione, deve il potatore avvertire a fare il taglio sempre perpendicolare, a ben affacciarlo, e poi coprirlo con argilla stemperata colla bovina, che i Francesi chiamano unguento di S. Fiacre. Queste precauzioni sono del massimo rilievo; perchè tendono ad impedire che, l’acqua ristagnando sulla ferita, vi formi un principio di putrefazione, che in men non si crede, renderebbe cavernoso il tronco. Avverta poi il potatore a recidere tutti i polloni che vengon su dalla ceppaja; e ovunque vede sugli alberi alcun principio di carie, lo ripulisca, tagliando sino al vivo, e poi vi soprapponga l’unguento.
Malgrado lo zapponare, il concimare e il potare gli ulivi, le speranze dell’agricoltore possono andar fallite per la cattiva maniera di raccorre le ulive. Il metodo più comune intorno a ciò in Sicilia è quello di far flagellare l’uliveto da una mano di manigoldi, i quali con lunghe pertiche danno colpi da ciechi sugli alberi, ne fanno cadere gli ulivi. Non possono esprimersi a parole le tristi conseguenze di questa barbara pratica. L’ulivo è un di quegli alberi che producono il frutto in sulle messe vecchie. La pipita che spunta in sui rami madornali mignola l’anno appresso. Ora il violento perticare fa necessariamente cadere tutta quella pipita; onde l’albero nell’anno seguente, in vece di migliorare, deve riprodurre la pipita, e però resta per quell’anno infruttifero. Da Columella sino a noi non v’ha scrittore d’agricoltura, che non attribuisca principalmente a ciò l’alternativo fruttificare degli ulivi.
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