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      Sventuratamente appo noi si suppone che in tal circostanza la pecora non abbisogni neppure di un’occhiata particolare; e non solo si trascura di darle qualche tempo innanzi del parto un po’ d’avena o di piselli, o di fave ec., nè si usa l’accuratezza di sceverare dal branco le bestie pregne, e menarle a pascolo separato: ma si pone, diremmo, ogni studio per ridurle a sconciarsi. Vero è bene che esse abortono non rare fiate per cause che è impossibile di prevedere; ma è vero altresì che il più delle volte la precipua cagione ne è il pecorajo medesimo. Un andare sforzato, delle percosse, delle sassate che loro si scagliano all’impazzata sul ventre, sui fianchi, sulle reni; un cibo troppo, o troppo scarso; il costringerle a tragittare ammonticchiate per aditi angusti; delle bevande assai fredde, sono tutte cagioni di aborto che accusano la negligenza del guardiano.
      Che è a dire de’ parti difficili o contro natura, ne’ quali non è attenzione nè destrezza che basta? Quante volte per istirare sguaiatamente le gambe, od appianare la groppa di un agnellino, che si presenti fuori della naturale postura, si lascia morire a stento la madre! Quante altre per metterla in salvo, si taglia l’altro a pezzi, che con poca cautela, con alquanta delicatezza si sarebbe potuto salvare ben anche! Basterebbe ungersi le mani di burro o di olio, guardarsi di nulla offendere colle unghia, procedere avvedutamente, ajutare la pecora, andare insomma alla guida della natura, e non cercare di vincerla, perchè i parti non riescano a male sì spesso, come fanno per isventura.


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Calendario dello agricoltore siciliano
di Niccolò Palmeri
Tipogr. Pensante Palermo
1883 pagine 189