L’accurato pecorajo inoltre non si stanca già di vegliare alla sua pecora tostochè essa s’è alleggerita del feto. La pecora sopra parto richiede infinita sollecitudine, e l’allattamento è per lui un oggetto di più rilievo che la gravidanza. Se la madre soffre penuria di latte o muoja sopra partorire, ei dà l’agnello ad un’altra che abbia perduto il suo, o che possa lattarne due; munge quelle che, per ingorgamento al capezzolo, soffrano tale doglia da non volere lasciar le poppe ad alcuno; sgombra la lana che stii d’attorno a’ zezzoli, perchè l’agnello, traendone il latte, non la trangugi con grave suo danno; spreme un po’ la mammella per cavarne le materie che la turano; e cento cure si dà, perchè crescano in fiore le novelle sue bestiucce, cure che a voler tutte enumerare sarebbe non finirla giammai.
Lungo ancora sarebbe passare tutti a rivista i tanti malori che travagliano il minuto bestiame, e di tutti discorrere largamente. Dall’una parte è certo, che se ci ha specie d’animali, a cui scagliasi addosso gran torma di malattie, le pecore voglionsi mettere in prima riga. Dall’altra è certo certissimo che se ci ha cosa ignorata o mal saputa da’ nostri pecorai, l’è appunto i mali che affliggono tutto giorno la mandra. E non è raro che se ne ignori, non diciamo la qualità, la causa, le apparenze, gli effetti, ma fino l’esistenza ed i nomi.
Il vajuolo, per esempio, la falerre, il carbonchio, la vertigine, la rogna, sono elleno cose da trascurare? o sono mali da riparare con una cavata di sangue, che serve solo per cavare alla bestia quel rimasuglio di fiato che sorreggevala in vita?
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