Che se ne metta in parola un guardiano di uno o più migliaia di pecore. Accuserà la stagione, la tale o tal’altra erba, e sino la luna o le stelle, ma è ben lontano dal credere che la sua malcuranza potesse influire assai più di tutte queste cagioni; che i pascoli umidi, le acque putride, la scarsezza o la larghezza del nutrimento, l’aere infetto dell’ovile possono generare la marciaja; che quel terribile mal-di-sangue (meusa) per cui gli animali più vegeti si veggono di repente infiacchiti, enfiandosi loro la milza, e sciogliendosi tutti in escrementi sanguigni non sia già colpa d’influsso, ma vero germoglio di trascurato governo; come a dire di subitaneo cangiamento nel cibo, d’una pioggia eccedente che si faccia loro cadere in dosso, di una stretta astinenza seguita da nutrimento abbondevole ec., e che finalmente curando di allevare la greggia lontana da tutto ciò che può indebolirne vieppiù il tanto fiacco temperamento, non è a temere che di tali malori imperversino frequentemente sopra di essa. Che se vera è questa massima in generale, non ammette poi ombra di dubbio per riguardo alla marciaja, o putrescenza che si vuol dire. Il sig. Backevill, coltivatore inglese, si diede ad allevare un gran numero di bestie lanose; e per impedire che altri profittasse de’ montoni della sua razza, gli faceva ingrassare in paschi preparati a bella posta: sicchè, appena venduti, venivano attaccati da questo male, ed il compratore era costretto ad ucciderli immediatamente. (V. il foglio del Coltivatore, anno 1790, num.
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Coltivatore
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