La storia s’annovera tra le scienze; ma tale non può dirsi, finchè è ristretta negli angusti confini della nuda narrazione degli avvenimenti. Come il pittore gli uomini, lo storico deve ritrarre i popoli. La più rigida esattezza è ad entrambi richiesta. La più lieve alterazione è grave colpa in entrambi. Se non che quello figura l’uomo in una sola attitudine, l’altro deve mostrare i diversi aspetti, che il tempo e ’l variar di fortuna hanno dato alle nazioni. Nè colla semplice esposizione dei fatti potrebbe egli venirne a capo. È per lui mestieri venire a mano a mano rilevando, con sobrio e sagace discernimento, dai fatti stessi, che narra, quali sieno state le forme politiche, con cui i popoli si sono retti; quali le loro civili consuetudini; la religione; il numero degli abitanti: le sorgenti della pubblica e privata ricchezza; le lettere; le scienze; le arti; e tutto ciò che costituisce l’essere delle civili società. Nè deve mai perder di vista tali gravissimi argomenti; acciò vengano per se stesse a mostrarsi le cause dell’incremento e della decadenza del paese, di cui scrive. Allora la storia è scienza, e forse la più utile di tutte.
Colui, che tali oggetti trascuri, può recar diletto, non istruzione al lettore. Il narrar le cose colla lingua d’un solo secolo; le pompose orazioni, il profluvio de’ diverbî ne’ consigli de’ principi, nei congressi de’ capitani, nelle adunanze de’ cittadini; lo studio d’imitare l’unico, ma sublime difetto di Tito Livio, possono dar nome, se si vuole, di ornato scrittore, di valente e grave storico non mai.
| |
Tito Livio
|