Solo quando replicate opposizioni pareano disconsigliare il silenzio, anzichè direttamente ribatterle, volgeasi Palmeri a confutare i principî economici del Gioia, di che fiancheggiavansi gli oppositori di lui.
Quella tristezza, onde l’animo suo s’informava considerando lo stato economico della Sicilia, con pari forza stringealo, quando rivolto lo sguardo agli avanzi delle antiche città greco-sicole, contemplava ivi le orme di una grandezza che sparve, per non ricomparire mai più. Però se nel 1827 visitava le antichità di Agrigento, non chiedea solo ai quei ruderi le fredde dimensioni dell’archeologo, quasi materia passiva al rigor della squadra, ma quanta potenza civile creavali, e che politici ordini facessero giganteggiare i pubblici più che i privati edifizî. Nè in quella severa e maestosa semplicità dello stile vide attaggiarsi le teorie di Vitruvio; bensì gli apparve a cifre indelebili l’indole, anzi il ritratto della dorica libertà. Talchè in una memoria ch’ei pubblicava nel 1832, illustrando quei ruderi, ne desumea l’epoca della fondazione e l’ufficio dal carattere istesso che li distingue. E dell’autorità degli antichi scrittori solo giovossi in quanto la vide non ripugnare alle umane probabilità. Quivi additava come vadan distrutti gli errori dei critici, che ciecamente o si ripeton l’un l’altro o si contraddicono, e dei viaggiatori dai nomi smozzicati, com’ei li chiamò, quando a parlare di belle arti, delirano. Nè credasi che dalle reminiscenze di quella età traesse argomento di lode alla nostra.
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