Che che ne sia, le favole stesse, onde quella età è ingombra, e le tradizioni, mancando ogni altra prova, servono a farci trarre alcuna congettura sullo stato, in cui l’isola allora ebbe ad essere. I bovi del Sole pasceano in quelle campagne, ove poi venne a sorgere Milazzo; Dafni inventava la poesia buccolica, mentre le sue vacche andavano a pastura sui Nebrodi; pastore era Polifemo, pastori i figliuoli di lui; Cerere venne ad insegnare ai Sicani il modo di svolgere la terra coll’aratro, per seminare le biade; da Aristeo appresero ad incalmare gli ulivi, a trar l’olio dalle olive, a governar le api, a cavarne il mele; si dà vanto a Dedalo, re dei Sicani, di sommo architetto e scultore; vuolsi che un Jalo, suo nipote, che non era da meno di lui, visto i denti di un serpente, ne abbia tratta l’invenzione della sega, e che del pari abbia inventato il tornio ed altri strumenti; che lo zio venutone geloso, lo abbia messo a morte, e per tal delitto, tutto re che era, ebbe a fuggire in Creta presso il re Minos; venuto ivi a non molto in odio a costui, per avere sedotta la Pasifae sua donna, tornò in Sicilia e riparò presso il re Cocalo; vi edificò lo stagno onde scorrea il fiume Abados, detto oggi Cantara, l’antro vaporoso, ove sono oggi le stufe di Termini Selinuntina, che Sciacca chiamiamo, e la munitissima rocca di Cocalo sulla vetta del Camico, ove sorge il moderno Girgenti; maraviglie si dicono de’ lavori suoi di scultura, fra’ quali era innanzi ad ogni altro famoso l’ariete d’oro, posto nel tempio di Venere e d’Erice.
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