Demotele, Epicarmo, Pitagora e quanti furono sapienti in quell’età erano da lui bene accolti. Ma l’amicizia di Pitagora ebbe alla fine a costargli la vita.
Non pago quel filosofo di consigliare apertamente al tiranno a restituire il governo popolare, nei suoi ragionari coi più illustri cittadini si studiava sempre d’ispirar loro odio per la tirannide, amore per la libertà. Falaride, per levarsi quel fastidio, finse un giorno altercare sull’immortalità dell’anima e sul culto dei numi con Abaride discepolo del filosofo, presente lui. Nella batosta si diè artatamente a farsi beffe della religione; sulla speranza che l’intollerante Pitagora, messo al punto, fosse venuto in escandescenza tale, da offrirgli buon destro di smaltirlo. Il filosofo all’incontro, con eloquente discorso, mostrò al popolo l’empietà del tiranno. Il popolo applaudiva e palesamente mostrava amore verso Pitagora, odio pel tiranno e per la tirannide. Ben sel vide il filosofo, e trovandosi a caso a passare per l’aria uno stormo di colombe inseguite da uno sparviere, rivolto al popolo, disse «ve’ l’effetto della paura! se una sola di quelle colombe avesse cuore di resistere, salverebbe sè e le compagne.» Tanto bastò, perchè il popolo, a furia di sassi, avesse di presente messo a morte Falaride (Ol. 68; 508 av. C.). E tale era l’odio degli Agrigentini, che per decreto del popolo fu stanziato il divieto di portar vesti azzurre; perchè di quel colore era l’assisa de’ familiari e de’ soldati dell’estinto tiranno.
Ma le ire dei popoli, ove rotti siano i costumi loro, tornano in vane giullerie.
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