Dall’altro lato, Sparta ed Atene spedirono messi a Gelone, chiedendo alleanza e soccorso. Il principe siracusano, che per la comunanza del sangue era inchinevole a questa parte, offerì di dare alla Grecia un’armata di dugento galee, ed un esercito di ventimila fanti, diecimila cavalli, altrettanti arcieri, altrettanti frombolieri, e ventimila di truppa leggiera. Ed oltracciò esibiva tutto il frumento necessario per lo mantenimento delle forze della lega, durante la guerra; a patto che a lui se ne desse il comando, come a colui, che contribuiva più forze egli solo, che non tutta la Grecia unita. Quest’ultima condizione fece sdegnosamente rigettare da que’ messi l’offerta, comechè Gelone fosse poi condisceso a contentarsi del comando della sola armata o del solo esercito, secondochè i Greci volean per sè o l’uno o l’altro. Rotto così il trattato, Gelone, che forse ad arte avea messo avanti quella condizione, alla quale sapea che i Greci non avrebbero assentito, per non dilungarsi da Sicilia, mentre l’isola era minacciata da una invasione straniera, s’accinse a respingerla.
VI. - I Cartaginesi intanto, fatti gl’immensi appresti per la guerra, di cui diedero il governo ad Amilcare, mossero verso Sicilia. Erano trecentomila combattenti, tratti da Cartagine, dalla Libia, dalla Spagna, dalla Corsica e dalla Sardegna; ed un’armata di duemila galee, oltre ai legni da carico che erano forse meglio di tremila, dei quali alcuni furono dispersi da una tempesta. Posto piede a terra in Panormo, il punico generale disse: la guerra essere a buon termine; che il solo timore suo era, che i Siciliani non fossero stati ajutati dalla tempesta.
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