Tutte le città siciliane vennero allora sotto il dominio dei tiranni; ed Aristotile (17) le dà ad esempio per provare come sia facile il passare dalla oligarchia alla tirannide.
Pure, avvegnachè si fossero quei governi trasformati in monarchie, forti cagioni restavano per tenere in fermentazioni gli spiriti. Il partito escluso mordeva il freno, ed agognava sempre a riprendere la perduta autorità. A costoro venivano di tempo in tempo ad unirsi molti dì coloro che. aveano favorito il tiranno; e poi, o per invidia, o per non averne colto quel pro che aveano sperato, se ne staccavano. Le stesse persecuzioni dei tiranni contro i nobili e ricchi cittadini, mentre forse eran gradite alla plebe, accresceano l’odio dei più. E le forme larghe di governo, che pure restavano, teneano sempre vivo il desiderio di maggior libertà.
A stimoli così potenti s’aggiungeano le istigazioni di Pitagora e de’ suoi discepoli; i quali, nel misterioso silenzio del loro cenobio, ordinavano la distruzione di tutti i governi, che non erano repubbliche, di tutte le repubbliche, che non erano secondo i loro principî. I Siciliani, impazienti della tirannide, correano da tutte le parti a Crotone, sede del filosofo e della sua scuola. Nè di altra filosofia si trattava in quest’età in Sicilia. Pitagorici erano Caronda e Lisiada da Catana; Empedocle d’Agrigento; Petrone d’Imera; Ecfanto, Iceta, Leptine, Finzia, Damone da Siracusa; Cole da Selinunte; Clinio e Filolao da Eraclea. E le massime di quella scuola venivano spargendo Eschilo, Epicarmo, Ipparco e lo stesso Pindaro, mentre facea le viste di piaggiare Gerone e Trasibulo.
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