Coloro, che l’aveano abitata, vennero a stabilirsi in Inessa, cui dissero Etna (18). Al modo stesso Agrigentini, Geloi, Imeresi, Zanclei, Nassi e Leontini, che dai tiranni erano stati espulsi dalle patrie loro, vi ritornarono.
Fu allora che Empedocle concepì il disegno di riformare lo stato di Agrigento. Era quella città retta da un consiglio di mille nobili, che si chiamavano chiliarchi; ed un supremo magistrato vi avea per eseguirne i decreti. Empedocle tolse il governo dalle mani dei nobili; restrinse a cento il numero dei chiliarchi, tratti da ogni classe di cittadini. Il popolo ne fu tanto lieto che gli offrì la corona; ma il largo repubblicano sdegnosamente la rigettò. Al tempo stesso quel filosofo riformò i governi di Tauromenio, d’Imera, di Catana e di tutte le città calcidiche.
Tutto allora era pace. La Grecia riposava tranquilla sopra i suoi trofei. Cartagine e la Persia agognavano alla vendetta; ma non s’erano riavute dal danno e dallo spavento della giornata d’Imera e di Salamina. Roma non portava ancora oltre i confini d’Italia le ambiziose sue mire. Nelle siciliane repubbliche le arti e le scienze fiorivano; i popoli rapidamente si moltiplicavano; la pubblica ricchezza d’ora in ora crescea. Siracusa ed Agrigento gareggiavano di gentilezza e di potenza; e tanto prevaleano, che tutte le altre erano astrette o a stare in pace quando esse lo erano, o a pigliar tutte le armi quando quelle venivano nemiche.
II. - La pace fu turbata dai Sicoli, che contravano palmo a palmo il terreno ai nuovi abitatori; e, comechè respinti da tutte le spiagge, restavano ancora minacciosi nel paese entro terra, ove molte e forti città aveano.
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