Chiamarono in ajuto i cartaginesi; ma questi non pensavano allora a portar le armi in Sicilia. Disperati, chiesero soccorso ad Atene, e con essi gli esuli Leontini, offrendo 60 talenti al mese per lo mantenimento di sessanta galee.
II. - Al desiderio generale degli Ateniesi di sottomettere la Sicilia si aggiungevano allora le istigazioni di Alcibiade. Costui, nobile, ricco, generoso, prode, eloquentissimo, bello della persona, coronato in Olimpia, vincitore degli Spartani, era l’idolo del popolo. I saggi lo tenevano pericolosissimo cittadino; perchè pieghevole al vizio come alla virtù, cupido di gloria, anche più di danaro, nessuno scrupolo lo frenava nella scelta dei mezzi di giungere ai suoi fini. Vide costui in quella guerra un bel destro d’acquistare autorità e ricchezze: però si diede a tutta possa a persuadere gli Ateniesi a portar le armi in Sicilia. Nel suo fervido immaginare vedea, e facea vedere alla moltitudine, non che la Sicilia, ma Cartagine, la Libia, il Peloponneso già sottomessi ad Atene. Invano molti, e soprattutto Nicia, vecchio e sperimentato capitano, si opposero a tanto delirio, e rammentarono invano i trecentomila Cartaginesi disfatti sotto Imera. Solo poterono ottenere, che si mandassero messi in Sicilia, per esaminare se gli Egestani aveano ricchezze tali, da adempiere alle larghe promesse che faceano.
Tutto allora cospirò per deludere gli Ateniesi. Saputo quella risoluzione, gli Egestani si diedero a raggranellare da per tutto vasi d’oro e di argento e preziosi arredi; togliendoli in presto dai vicini Maravigliarono i messi ateniesi al vederne in tanta copia ne’ tempî, nelle case, e nei conviti.
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