Da per tutto erano uomini a far libazioni con vasi d’oro e d’argento, e darne bere ai futuri conquistatori della Sicilia.
L’armata si ridusse da prima a Corcira, per unirsi alle forze delle città alleate, e quindi si diresse in Sicilia. Precessero tre galee, spedite per indagare lo stato delle cose. Il resto dell’armata, respinta dalle città della Magna Grecia, s’era fermata presso Reggio, senza potere entrare nel porto; chè i Reggini s’erano anche essi negati, non che ad entrare cogli Ateniesi in lega, a riceverli in città. Di ritorno le tre galee riferirono esservi in Sicilia città amiche, ne’ cui porti potea riparare l’armata; ma non esser da contare sull’ajuto degli Egestani, dai quali non più di trenta galee potea aversi.
Venuti i tre comandanti a consiglio, Lamaco propose di correr tosto a Siracusa. Un tale avviso fu rigettato dagli altri due. Voleva Nicia che si andasse a Selinunte, si obbligassero i Selinuntini a rifare gli Egestani dei torti loro, procurare quel miglior vantaggio, che si potea, ai Leontini, e fare ritorno in Atene. Alcibiade si ostinò a volere, che si ribellassero prima dalla lega dei Siracusani tutte le altre città, e poi colle loro forze unite assalir Siracusa. Il suo avviso prevalse. Tentò prima d’ogni altra, di sedurre Messena; ma non gli venne fatto. Solo potè ottenere la compra dei viveri, di che avea mestieri. Sessanta galee vennero a Nasso, e vi furono ben ricevute. Avanzate presso Siracusa, dieci n’entrarono nel gran porto. Incontrata una galea siracusana, la presero.
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