Nicia intanto si stava in Catana, dottando di accostarsi a Siracusa, perchè la numerosa cavalleria siracusana avrebbe impedito lo sbarco. Per venirne a capo, sedusse un Catanese, di cui i Siracusani si fidavano. Costui recatosi in Siracusa, disse che gli Ateniesi tutte le notti lasciavano il campo, e venivano a sollazzarsi in città; e propose di assalire alla sprovvista il campo, mentre i Catanesi amici avrebbero chiuse le porte, fatti prigioni coloro che erano dentro e dato foco alle navi. I Siracusani sel crederono e corsero a Catana. Trovarono il campo vôto. Tornarono di volo, ma gli Ateniesi erano di già sbarcati presso la foce dell’Anapo. Li attaccarono, e valorosamente combatteano, quando una bufera, mossa istantaneamente, fece voltar faccia ai fanti, che sarebbero andati tutti in rotta, se la cavalleria non avesse frenato gli Ateniesi. I Siracusani si ritrassero in città, lasciato un forte presidio al tempio di Giove, ove erano grandi ricchezze. La stagione avanzata non permise a Nicia di restare più oltre in campo aperto. Fece ritorno in Catana e Nasso.
Durante l’inverno, da ambe le parti si fecero preparamenti e si cercarono alleanze. Nicia si accostò a Messena. Perdutovi tredici giorni, tornò a Nasso. Scrisse ad Atene per avere cavalleria e denaro; cavalli chiese ugualmente agli Egestani; e ferro, e mattoni, e quanto era mestieri, per circonvallare Siracusa.
I Siracusani dal canto loro mandarono ambasciatori a Corinto ed a Sparta, per averne soccorso. Di leggieri l’ottennero, dai Corintî per la comunanza del sangue, dagli Spartani per l’opera di Alcibiade, ivi a bella posta chiamato.
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