Venne fatto al siracusano ferire a morte il nemico; e questo, tutto ferito, gli die’ tal colpo, che ambi nel momento stesso caddero estinti a piè de’ loro cavalli.
Inanimati da ciò coloro, ch’eran fuggiti verso la città, corsero ad assalire l’Epipoli. Nicia, saputo la morte del compagno, visto i nemici che a lui correano, con subito consiglio mise fuoco alle macchine ed a tutto il legname, ch’era lungo il muro. Soprastettero i Siracusani alla vista di quello incendio, di cui ignoravano la cagione. In quel momento il resto dell’esercito, respinte le schiere siracusane, dalle quali era stato attaccato, volò a difendere il generale e ’l posto. L’armata ateniese entrava nel porto. I Siracusani temendo di essere accerchiati, rientrarono in città; e gli Ateniesi continuarono il muro.
Poco mancava a condurre quel muro sino al mare. Dall’altro lato il muro era in parte compito, in parte a metà. L’esercito ateniese guardava l’Epipoli; l’armata il mare. In tale stato i Siracusani, scuorati dalle sconfitte, ignari dei soccorsi di Sparta e di Corinto ch’erano per giungere, disperati di averne dalle altre città che agli Ateniesi si venivano accostando, cominciarono a nutrire pensieri di resa.
Gilippo intanto con venti galee, delle quali dieci erano corintie comandate da Pite, due di Leucade e tre d’Ambracia, navigava per le città di Italia, per premunirle contro una prossima invasione degli Ateniesi; perocchè la voce sparsa d’essere già Siracusa cinta da tutti i lati, facea prevedere che, venuta in potere degli Ateniesi, questi, giusta il piano della guerra, avrebbero rivolte le forze loro contro l’Italia.
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