Sette delle loro galee furono colate a fondo; le altre, mal conce, fuggirono fra le navi da carico, che Nicia avea disposto sul lido, d’in su le cui antenne erano scaraventati enormi delfini di piombo. Ne provarono l’effetto due delle galee siracusane, che fin là inseguirono le nemiche; le quali, colte da quei delfini, ne furono scassinate e sommerse.
VIII. - Mentre Nicia deplorava la perdita di quella battaglia, giungeva Demostene, seco portando settantatre galee ateniesi ed altre tolte a nolo; cinquemila fanti di grave armatura; e grandissimo numero di arcieri, frombolieri ed altre truppe leggiere. Accagionava Demostene la mala riuscita della guerra, fino allora, alla dottanza di Nicia. Volle risarcire il male con ardite imprese. Si accinse tosto a demolire il muro, che i Siracusani aveano eretto, per impedire la congiunzione verso l’Epipoli, delle due muraglie fatte dagli Ateniesi. Gilippo e i Siracusani non poltrirono. Respinsero gli assalitori ed incendiarono tutte le macchine destinate a demolire il muro.
Fallito quel corpo, tentò Demostene di cacciare i Siracusani dall’Epipoli, sulla speranza che, venuto padrone di quel sito, di leggieri potea venire a capo di demolire il muro nemico. Sul far della notte, fatto indossare ai soldati viveri per cinque giorni, con numerose schiere colà si diresse.
Salì per l’Eurialo; gli venne fatto mettere a morte le scolte, e farsi padrone del primo posto. Accorsovi quei seicento che lo guardavano, furono del pari tagliati in pezzi o fugati.
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