Nicia intanto, colà avviatosi per unirsi a Demostene, giunse la sera su di un’altura presso l’Erineo. Il domani, si trovò accerchiato dai Siracusani, che gl’intimarono la resa; facendogli sapere che Demostene co’ suoi era prigione. Non volle crederlo. Spedì un uffiziale per farnelo certo. Avuta la notizia, offrì di pagare ai Siracusani tutte le spese della guerra; lasciando in ostaggio tanti Ateniesi, quanti talenti si fossero convenuti di dare, purchè ritornasse libero coll’esercito in Atene. La offerta fu ricusata. Si difese tutto il giorno. La notte, venne fatto a tre cento de’ suoi scappare, ma ivi a poco furono presi.
Al far del giorno ventisei del mese Metagitnione (25) nell’anno 4 della 91 Olimpiade (11 di settembre, 413 a. C.) l’esercito ateniese, combattendo sempre, giunge al fiume Assinaro oggi Falconara. I soldati, stanchi, grondanti di sangue, alidi, come giunsero alle sponde, si precipitarono nel fiume, con rabbia tale, che fin tra loro si uccideano, per poter bere di quell’acqua limacciosa ed insanguinata. Le ripe erano scoscese. I Siracusani dall’alto li ferivano a man salva. Un corpo di Spartani scese nel fiume, e ne facea strage. Nicia s’inginocchiò a piedi di Gilippo; pregandolo a por fine alla carneficina, rendendosi prigione co’ suoi. Diciottomila Ateniesi erano morti in via, e nel fiume, settemila ne furono allora presi.
I Siracusani rientrarono in città, coi due generali e tredicimila soldati prigionieri; traendo seco i cavalli de’ nemici, rasi i crini. Resta ancora, presso le sponde dell’Assinaro, una piramide, eretta da’ Siracusani per trofeo della vittoria.
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