Nè i Siracusani si fecero scuola di tali errori. Insolenti dopo la vittoria, e sempre incauti, allontanarono Ermocrate, il cui senno avrebbe loro risparmiato tanto danno, e ’l cui valore tanto avea contribuito alla vittoria; e lo mandarono in Grecia con ventidue galee, due delle quali erano di Selinunte, per continuare la guerra cogli Ateniesi. A ciò pure contribuì Diocle, il quale assai prevalea in Siracusa, come colui che caldo democratico era. Sospettò egli in Ermocrate l’ambiziosa mira d’usurpar la tirannide, e comunicò a tutto il popolo i suoi sospetti.
Allontanato Ermocrate, i Siracusani vollero un nuovo corpo di leggi. Fu dato l’incarico di compilarle a parecchi, fra’ quali lo stesso Diocle; il quale tanta parte vi ebbe che quelle leggi furon dette Dioclee, e furono in vigore, finchè Siracusa non cadde in potere de’ Romani. Ma, mentre i Siracusani pensavano solo all’interno reggimento, senza darsi alcun pensiero dell’esterna politica, nuova e più grave tempesta piombava sulla Sicilia.
II. - Gli Egestani, visto l’infelice esito della guerra da loro suscitata, tolleravano in pace le usurpazioni de’ Selinuntini. Questi, resi più insolenti, si diedero a maggiori usurpazioni; finchè quelli, non potendo sperare giustizia da Siracusa, chiamarono in loro ajuto i Cartaginesi. Avea allora in Cartagine il supremo magistrato, che colà si diceva Suffeto, Annibale nipote di quell’Amilcare, che avea perduto la vita sotto d’Imera. Giscone, padre di lui, e figliuolo di quello, secondo una barbara consuetudine di Cartagine, espiava collo esilio la sventura del padre, e s’era ritratto in Selinunte.
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