Annibale agognava a vendicare l’esilio del padre e la morte dell’avo, e cancellare l’onta, che le armi cartaginesi aveano ricevuto sotto Imera. Pure lo teneva a freno il timore di Siracusa. Però avveduto com’era, cercò di metter zeppe tra Siracusa e Selinunte. Spedì suoi ambasciadori a Siracusa, per palesare le richieste fatte dagli Egestani, e rimettere all’arbitrio de’ Siracusani la controversia tra questi e i Selinuntini. Pensava egli che i Selinuntini si sarebbero dichiarati nemici di Siracusa, se il giudizio era contro di loro; o Cartagine avrebbe acquistato un diritto a pigliar le parti d’Egesta, se contro di questa era la sentenza. Gl’incauti Siracusani, come se nulla calesse loro di ciò, non vollero tramettersi nella briga; e risposero voler continuare in pace con Selinunte e con Cartagine.
Allora i Cartaginesi determinarono di portare le armi in Sicilia. Vollero prima tentare il guado, con mostrare di venir solo per la difesa degli Egestani. Nell’anno 3 dell’Olimpiade 92 (410 a. C.) spedirono cinque mila fanti affricani con ottocento cavalli, che si fermarono in Egesta. I Selinuntini, disprezzando quel poco numero di stranieri, continuarono le depredazioni sul tenere degli Egestani. Mentre stavano sparnicciati a dare il guasto a quelle campagne, colti dai Cartaginesi, mille ne restarono morti sul campo, gli altri fuggirono e non osarono più farsi vedere su quello d’Egesta.
III. - Inanimato da questo primo successo, raccolta gente da tutte le parti, ritornò Annibale in Sicilia con centomila uomini (altri dicono dugentomila) e numerosa armata; la quale, sbarcato l’esercito a Lilibeo, venne a fermarsi nel porto di Mozia.
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