Solo i tiranni voleano una guardia di mercenarî, per lo più stranieri. Ne’ tempi ordinarî ogni cittadino pigliava le armi, quando il bisogno della patria lo volea; ma in un momento non potea raccogliersi un esercito, nè numeroso, nè disciplinato.
Annibale ben sapea intanto usar del tempo. Gli infelici Selinuntini, ch’erano sulle mura, cadeano a migliaja, per mano degli arcieri e frombolieri, che d’in su le torri l’imberciavano. Le mura stesse, battute dalle macchine, andavano in rovina da tutte le parti. Gli assalitori, che perivano, erano sempre rimpiazzati da altri; gli assaliti d’ora in ora minoravano; pure il coraggio loro raddoppiava, come il numero minuiva. Finalmente dopo dieci giorni d’acre combattimento, venne fatto ad una schiera d’Iberi di penetrare in città per le rotte mura. V’accorsero i Selinuntini.
I nemici, obbligati a combattere in vie anguste, nelle quali poco poteano avvantaggiarsi del numero, attaccati di fronte dai cittadini, oppressi dall’atto dalle donne, che d’in su le case facevano un continuo menare, di tegole, di travi, di sassi e di quanto veniva loro per le mani, poco progredivano; ma non cedevano; perchè le schiere posteriori, passando sopra i cadaveri, venivano sempre a rinfrescare la battaglia. Finalmente verso sera, inondata già la città per tutto, que’ cittadini che restavano in armi si ritrassero nella gran piazza e vi perirono combattendo. Quando più non vi fu nè una tegola da trarre, nè un uomo da combattere, la città fu presa, l’anno 4 dell’Olimpiade 92 (409 a. C.), dugento quarantadue anni dopo la sua fondazione.
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