Se Annibale non avesse sospeso il corso delle sue vittorie, per tornare in Cartagine a raccorre gli applausi dei suoi, forse tutta Sicilia sarebbe caduta sotto il giogo affricano. Ma ne’ governi puramente democratici i popoli, benchè talvolta siano spinti ad azioni al di là del naturale, spesso ne’ più gravi pericoli anneghittiscono e soccombono. I cittadini, invece di correre con comune accordo ad affrontare il comun pericolo, si danno a rinfacciare l’un l’altro la causa del male. Le fazioni diventano più accanite. In que’ fortunosi momenti tutti voglion fare, e nessuno fa. I buoni, che potrebbero salvare la patria, o si ritirano, o sono cacciati.
Tale era allora la condizione delle città siciliane, e particolarmente di Siracusa, che per la sua potenza avrebbe potuto respingere una seconda volta i Cartaginesi. Le forze di quella repubblica dalla morte di Gelone, non che fossero diminuite, erano anzi accresciute: mancava solo un capo che avesse saputo riunirle, e addirizzarle al segno. Diocle, che allora prevalea era buon legislatore; ma poco conoscea le armi, e meno la politica. Geloso della libertà, avea allontanato Ermocrate, che solo potea fare risorgere i giorni gloriosi di Gelone.
IV. - Ermocrate, che, nel congresso di Gela, avea proposta una lega generale delle città siciliane, contro ogni straniero invasore, avea ben preveduto la spedizione degli Ateniesi, e avea avvertito i Siracusani a prepararsi alla difesa. Non gli si era dato ascolto. Sopraggiunti poi gli Ateniesi, avea avuto il comando dell’armi, ed assai prove di coraggio e di prudenza avea date.
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