Ottenuta la vittoria, era stato destinato a comandare la piccola armata, che andò colle navi spartane contro Atene. S’era segnalato nella battaglia tra Sesto ed Abido.
L’anno appresso, sopraggiunta l’armata collegata, di là dello stretto di Cirico, dagli Ateniesi con forze a gran pezza superiori, non potendo altrimenti salvare le navi e la gente, fatto sbarcare i soldati, mise foco alle navi, per non farle cadere in mano de’ nemici, come avvenne agli spartani. Diocle e la fazione repubblicana gli apposero a delitto l’incendio delle navi; lo accusarono; per decreto del popolo fu bandito. Dimesso allora il comando della truppa, che seco avea, in mano de’ nuovi comandanti, si ritirò nell’Ellesponto presso Farnabazzo suo amico.
Come a lui giunsero le notizie della caduta di Selinunte e d’Imera e la negghienza di Diocle, tutto esule che era, volle correre in difesa della Sicilia. Venne a Messena; col danaro avuto in presto da Farnabazzo fabbricò cinque navi, assoldò mille uomini, ai quali vollero unirsi mille degli Imeresi, che colà erano riparati, ed anelavano di trarre alcuna vendetta de’ Cartaginesi. Offrì i suoi servizî a Siracusa; que’ ciechi repubblicani lo respinsero. Non iscorò per questo. Venne a Selinunte; ne rifece in parte le mura; vi richiamò gli antichi cittadini; e ve ne trasse de’ nuovi. Raccolto un piccolo corpo di seimila venturieri, si diede a scorazzare tutto il paese posseduto da Cartagine. Venutigli incontro i Moziesi, gli sconfisse e molti ne uccise. Accostatisi in Panormo, gli abitanti vennero fuori per combatterlo.
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