Cinquecento ne mise a morte, gli altri fugò. Discorrendo i luoghi devastati dai Cartaginesi, venne ad Imera; con pietosa cura vi raccolse le ossa de’ Siracusani, che Diocle avea lasciati insepolti; e sopra carri magnifici li mandò a Siracusa, tenendosi egli sul confine. Sperava, che i suoi concittadini, per quell’atto, avessero rivocato il bando. Ben lo voleano molti; ma i più, tanto maggiormente gelosi della libertà quanto erano più vicini a perderla, comechè avessero bandito Diocle, per aver lasciati insepolti i cadaveri de’ suoi, si negarono a richiamare Ermocrate.
Questi, confortato da’ suoi amici, tentò acquistar di forza il comando. Accostatosi notte tempo alla città, v’entrò con pochi compagni per la porta dì Acradina, che i suoi amici in città aveano aperta. Sparsasene voce in città, i Siracusani, maggiormente confermatisi nel sospetto, che costui volea usurpare la tirannide (e forse allora s’apponeano al vero) gli corsero in contro per respingerlo. Nella mischia egli fu ucciso con molti dei suoi. Coloro che lo aveano favorreggiato, ne riportarono il bando. Era fra i suoi compagni Dionigi, che cadde ferito. Il destino, che serbava costui a più alte vicende, fece che alcuni suoi amici, facendolo credere estinto, lo salvassero, e, trattolo a casa loro, lo guarissero.
Non altro seppero fare i Siracusani allora in difesa della Sicilia, che mandar messi a Cartagine, per querelarsi dell’invasione e della distruzione di Selinunte e d’Imera. Alla vana querela diede Cartagine una vana risposta; ed intanto raccogliea grandi forze per menarle contro Agrigento.
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