Tali ricchezze eran venute sempre accumulandosi; chè Agrigento, dalla sua fondazione, non avea mai sofferto alcun saccheggiamento od altra molestia. Tanta era la ricchezza della città, che la magnificenza e ’l lusso v’erano estremi. Tempî, acquidotti, vivaî, grandiosi vi erano. Magnifici sepolcri s’erigevano, non che agli uomini, ma fino ai cavalli, agli uccelli ed agli animali domestici, che ognuno avea cari. Della somma ospitalità degli Agrigentini e delle preziose masserizie loro, cose appena credibili si narrano da Diodoro; e la sontuosità delle loro mense in quell’età era ita in proverbio. Tanto erano essi usi alla mollezza ed agli agi, che, essendo allora stato prescritto, che tutti coloro, che doveano andare in sentinella, dovessero portare solo una coltrice col cortinaggio, due guanciali, ed una coltre soppannata, alte querele si levarono; perchè teneano ciò troppo duro.
All’avvicinarsi de’ Cartaginesi, tutti, che eran da ciò, pigliarono le armi. Fecero venire lo Spartano Decippo che in Gela stanziava, con millecinquecento soldati stranieri. Assoldarono da ottocento Campani, che con Annibale erano prima venuti, e poi si eran ribellati dal servizio cartaginese; i quali s’afforzarono su quell’altura, che stava a cavaliere della città, e si diceva rupe Atenea.
VI. - Il vincitore di Selinunte e d’Imera, sbarcato l’esercito, tirò verso Agrigento. Come ne fu presso, staccò un corpo di quarantamila Iberi ed Affricani, e li fece stare sopra i colli prossimi alla città; ed egli con tutto l’esercito si pose ad oste nelle pianure, e cinse il suo campo di profondo fosso.
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