Giunse in Siracusa mentre il popolo veniva fuori dal teatro. Chiestogli notizie della guerra, rispose nulla saperne; sapere solo che, più degli esterni nemici eran da temere gl’interni; gli altri generali essere questessi, i quali, mentre i nemici erano sul confine, invece di pagare gli stipendî alla truppa, addormentavano il popolo con vani spettacoli. Ove mirassero non saperlo; questo essere certo, che Imilcone avea a lui mandato un araldo col pretesto di trattare la restituzione dei prigionieri, dal quale fu a lui bucinato di non guardare molto addentro nella condotta dei suoi compagni; però non volere egli avere più parte al comando, essere venuto per deporlo.
Tali semi di leggieri barbicarono. Il domane nel gran consiglio del popolo molti si diedero a gridare: non essere altro mezzo di salvare la repubblica che il dare al solo Dionigi la suprema potestà; doversi tutti rammentare che, quando Siracusa era retta dal solo Gelone, trecentomila Cartaginesi erano stati disfatti in una sola battaglia; ora, che il comando era in più mani, Selinunte, Imera ed Agrigento erano cadute; e lo stesso era da temere per tutte le altre. Nissuno osò contraddire. Dionigi ebbe la tirannide, varcati appena i venticinque anni.
Il primo uso che fece della suprema potestà fu di raddoppiare gli stipendî ai soldati; assicurando i cittadini d’esser sua cura trovare il modo di sovvenire alla spesa. Ordinò poi che tutti i cittadini atti all’armi, che non avean quarant’anni, armati, e con viveri per trenta giorni, seco si conducessero in Leonzio.
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