Ivi stanziavano tutti gli esuli, gli stranieri, ed altra gente di scarriera, vogliosa sempre di trescar nel torbido. Una sera fece ad alcuni suoi fidi levare un grande schiamazzio, come per volerlo uccidere. Egli, mostrandosi tutto pauroso, fuggendo, si chiuse nella cittadella e stiede tutta la notte in arme. Al far del giorno convocò il popolo; espose il pericolo corso; chiese una guardia per la sua persona; gli fu concesso destinare a ciò seicento soldati da lui scelti. Egli scelse a ciò i suoi più fidi, e ne accrebbe il numero sino oltre a mille; raccolse da ogni parte soldati stranieri, adescandoli con carezze e con larghe mercedi; riformò l’intiera milizia, dando il comando delle schiere ai suoi confidenti; rimandò a Sparta Decippo; soldati mercenarî chiamò da Gela. Di ritorno in Siracusa, per acquistarvi dipendenze, sposò la figliuola dell’estinto Ermocrate, e diede sposa la sorella a Polisseno, fratello della vedova di quello. Dafneo, che avea comandato l’esercito spedito in soccorso d’Agrigento, e Demarco, potenti cittadini, mulinavano il modo di smaltirlo; ei li prevenne; li accusò di molti delitti; li fece condannare a morte.
II. - Entrava, in questo, la primavera dell’anno 4 della 93 Olimpiade (405 a. C.). I Cartaginesi, distrutto quanto restava d’Agrigento, si accostarono a Gela, e fermarono il campo a settentrione, presso il fiume che scorrea di costa alla città. Era ivi una statua colossale d’Apollo, di bronzo, che i Geloi aveano in gran venerazione; trattonela, la mandarono a Tiro.
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