Gli ausiliari italiani attaccarono con grand’impeto i nemici; fugarono le prime schiere; penetrarono ne’ ripari: ma il caso volle che le altre due schiere non erano ancora giunte, per cominciar contemporaneamente l’attacco; onde tutto l’esercito cartaginese si rivolse contro i soli italiani, i quali, stretti da tutte le partì si ridussero in un angolo del Vallo. Vennero fuori i Geloi per soccorrerli; ma poi sul timore che, mentre eglino combatteano, i nemici non penetrassero per altra parte in città, tornarono indietro. Gl’Italiani sarebbero tutti periti, se le navi accostatesi al lido, a furia di dardi non avessero molestato il nemico, e dato loro tempo di campare in città, perduto mille dei loro.
Giunti all’altro corno i Siciliani vi combatterono con ugual valore, ma fecero poco frutto; chè i Cartaginesi, disfatta già la prima schiera, li assalirono in tal numero, che ebber dicatti potersi anch’eglino ritrarre in città colla perdita di seicento di essi. Mentre da quel lato si combattea, Dionigi, visto per quel contrattempo andare a vôto il suo disegno, senza avventurar la sua gente, si ridusse entro le mura. In un consiglio di guerra fu risoluto d’abbandonare la città. Per non darne sospetto ai Cartaginesi, per un’araldo Dionigi chiese loro il permesso di seppellire i morti. Fatto notte poi, tutto il popolo di Gela si mise in via verso Siracusa. Sulla mezza notte mosse Dionigi collo esercito, lasciando in città solo duemila soldati leggieri; i quali, stati tutta notte ad accender fuochi di quà e di là, per far credere d’essere ancora la città abitata, sul far del giorno corsero a raggiungere gli altri.
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