Quel trattato accrebbe il sospetto, che Dionigi, più che il vantaggio generale, avesse avuto in mira di raffermare la sua tirannide. Non sarebbe da meravigliare se costui nel fior degli anni era cupido d’impero; ma la pace era allora necessaria, e forse la tirannide non lo era meno. I Siracusani, scissi dalle fazioni, dati alle lussurie, non avrebbero potuto resistere ad un lungo assedio. Che che ne sia, i posteri devono saper grado all’ambizione di un uomo, che seppe far uso del potere, per elevare tanto alto la potenza siracusana.
IV. - Conchiusa la pace, Imilcone ritornò in Cartagine, dopo d’aver perduta per la peste e nei varî incontri una metà della sua gente; e Dionigi si diede ad afforzare Siracusa e render più salda la sua autorità. Cinse l’isola d’Ortigia di alto muro e forte, lungo il quale costrusse più torri; e sotto vi fabbricò portici e botteghe, in cui assai gente potea stare. Nel centro dell’isola edificò una vasta cittadella, la quale potea ben sostenere ogni straniero o cittadino assalto. Chiuse con muro il piccolo porto, che sessanta galee capiva; e vi lasciò una porta, per cui una sola potea passare. Divise poi le migliori terre del contado a’ mercenarî e familiari suoi; le altre agli antichi e nuovi cittadini, ed a’ servi manomessi, che da lui aveano avuto la cittadinanza, e però neopoliti si dicevano. Assegnò a molti case in città, tranne quelle dell’isola, che donò a’ suoi più fidi ed a’ mercenarî.
Fornite tali opere, volea Dionigi sottomettere tutte le città sicole, e particolarmente quelle che aveano favoreggiato i Cartaginesi.
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