Con tale intendimento venne in Siracusa un Aristo. Costui indettatosi prima con Dionigi, cominciò in pubblico a mostrarsi nemico della tirannide, e pronto a dar mano a coloro, che volessero ridursi a libertà. In quella città, in cui lo spirito repubblicano era forte radicato, molti a lui si unirono, e particolarmente Nicotele da Corinto che comandava la milizia. Ma quel furfante, conosciuto così l’animo di costoro, li palesò al tiranno; il quale mise a morte il Corintio, e mal ne incolse agli altri. Vedi virtù Spartana!
Era allora la stagione della messe. Mentre la maggior parte de’ cittadini era pe’ campi, Dionigi, assalitone le case, ne trasse tutte le armi. Rassodata così la sua autorità, disarmati i cittadini, si rivolse ad accrescere il dominio siracusano, con sottomettere le città calcidiche, Leonzio, Catana e Nasso. Ma prima volle torsi dagli occhi il bruscolo del castello d’Etna, ove stanziavano que’ cavalieri siracusani, che bravando, aveano rigettato il suo invito di deporre gli odî e tornare alla patria. All’avvicinarsi dell’esercito, inabili com’erano a difendersi, costoro si resero; ed ebbero ad essere prigioni, ove non vollero essere cittadini.
Accostatosi poi a Leonzio, intimò Dionigi la resa alla città. Visto che i Leontini si preparavano a gagliarda difesa, non avendo in pronto le macchine, si ritirò; e, come colui che, prima di venire alla prova dell’armi, cercava giungere coll’astuzia al suo fine, mentre facea sue mene contro Catana e Nasso, facendo le viste di portar le armi contro i Sicoli, si diresse ad Enna.
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