Come ne fu presso, indusse un Aimnesto, potente cittadino di quella, ad usurpare la tirannide, promettendogli ogni ajuto, sulla speranza che costui gli avrebbe poi aperte le porte della città. Ma quello, fattosi tiranno, si negò ad ammetterlo entro le mura. Dionigi se ne ricattò. Gli Ennesi, da lui istigati, corsero all’armi contro il tiranno; nel subbuglio entrò in città, con pochi seguaci, per una porta ch’era mal custodita; gli venne fatto avere nelle mani Aimnesto; lo consegnò al popolo, per punirlo a posta sua; e si ritrasse, senza recare altra molestia, per incuorare le altre città ad aver fede in lui.
Venne poi ad assediare Erbita (29); ma, trovatovi resistenza, egli, che ad altro mirava, si rivolse a Catana, ove un Arcesitao, che comandava la città, da lui compro, gli aprì notte tempo le porte. Fattosi così padrone della città, disarmato i cittadini, vi lasciò un presidio e tirò a Nasso. Vi comandava un Procle. Anche costui ebbe unte le mani e consegnò la città. Il traditore, oltre il pattuito premio ebbe libertà coi suoi; gli altri cittadini e i Catanesi ridotti in servitù, furono venduti alla tromba. Le terre di Nasso furono divise ai Sicoli vicini. Catana fu data a’ Campani. Cinto poi d’assedio Leonzio, offrì a que’ cittadini, se si arrendeano di queto, di menarli a Siracusa e dar loro la cittadinanza. I Leontini, sopraffatti dalle sue prepotenti forze, amarono meglio accettare il partito, che correre il rischio d’incontrare lo stesso destino de’ Nassî o de’ Catanesi.
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