Liberato Dionigi da quell’intoppo, tutto si rivolse all’assedio. La strada fu in poco d’ora compita; le macchine furono poste in opera. Ma nè il gran numero degli assalitori, nè la sicurezza di non potere più sperare alcun soccorso straniero, fecero venir meno il coraggio de’ Moziesi, che, accorsi in sulle mura, faceano ogni maniera di resistenza. Gli assalitori cogli arieti battevano le mura; colle catapulte faceano strage de’ difensori; e torri adopravano a sei palchi, alte così che pareggiavano i tetti delle case, mosse da ruote, pieni d’arcieri e frombolieri, che respingevano i cittadini. Ma questi pertinacemente si difendevano, sulle mura alzavano lunghissime antenne, sopra le quali erano elevati uomini, armati d’usbergo, che scagliavano stoppa unta di pece ed accesa, contro le macchine e le torri, e molte ne affocavano. Un corpo di Sicoli corse a spegner l’incendio, e nello spegnerlo molti ne perivano. Perivano al tempo stesso gli assalitori e gli assaliti, o trafitti da’ dardi o pesti dai ciottoli o bruciati dalle acque e dall’olio bollenti, che a gorghi si versava.
Le mura, rotte da innumerevoli macchine, dapertutto cadevano. Gli assalitori si teneano padroni della città. Ma gli assaliti, barricate le strade, fattosi muro delle case, con più ostinazione combattevano. L’attacco divenne più mortale; chè gli assalitori doveano con più stento e maggior pericolo sgombrare i ruderi delle cadute mura, per accostare le macchine a demolire le case. Così si combattè dall’alba sino a sera, quando Dionigi fece ritrarre i suoi.
| |
Dionigi Moziesi Sicoli Dionigi
|