Dionigi intanto, nel ritirarsi, richiamava i presidî da lui lasciati nelle città soggette, per riconcentrare tutte le forze in Siracusa.
VIII. - In questo, Imilcone si diresse con tutto l’esercito a Messena. Molto a lui calea di avere quella città; nel cui porto potea la sua numerosa armata riparare con sicurezza, ed al tempo stesso impedire qualunque soccorso, che Siracusa potesse avere dall’Italia e dal Peloponneso. Per non trovare intoppo, pattuì coi Termimeresi e Cefaledini il passaggio sul loro tenere. Insignoritisi poi dell’isola di Lipara, onde trasse una contribuzione di trenta talenti, s’avviò coll’esercito a Messena; e l’armata veniva seguendolo radendo il lido. Giunto al capo Peloro, vi si fermò. Non avea Messena allora fortificazioni tali, da potere resistere ad un’attacco vigoroso. Molti dei cittadini voleano rendersi di queto. I più, memori che un oracolo avea predetto che i Cartaginesi un giorno avrebbero portato l’acqua in Messena, interpretandolo che vi sarebbero stati servi; mandate prima nelle città vicine le mogli, i figliuoli e le cose preziose; lasciata la città, vennero fuori animosi, per impedire al nemico ogni correria. Avvistosene Imilcone, spedì dugento galee contro la città, restata indifesa. Il vento le favorì; in un attimo furono nel porto; e le genti, che sopra vi erano, presero terra. I pochi rimasti in città tentarono difendersi, ma furono sopraffatti dal numero; dugento di essi, non avendo altro scampo, si buttarono in mare per salvarsi a nôto; ma solo a cinquanta venne fatto afferrare l’opposta riva, gli altri annegarono.
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