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      Coloro, che erano usciti, tornarono più che di pressa; ma vana fu l’opera loro. La città fu presa. La maggior parte de’ cittadini fuggì alle vicine castella; Imilcone corse loro appresso; li assediò; ma, trovata forte resistenza, per non dilungarsi dallo scopo principale dell’impresa, ch’era Siracusa, tornò indietro; e diede ordine di spianare la città, di cui in poco d’ora non restarono pur le vestigia. Tutte le città sicole allora, da Assoro in fuori, si unirono ai Cartaginesi.
      Dionigi intanto fece venire mille mercenarî lacedemonî; provvide di viveri Leonzio e le vicine castella; pose a guardia d’Etna que’ Campani, ch’egli avea fatto abitare in Catana. Egli stesso venne fuori da Siracusa con trentamila fanti, tremila cavalli ed un’armata di centotrenta legni, fra’ quali erano poche galee. L’esercito si accampò, centosessanta stadî discosto da Siracusa, in quel promontorio, che oggi si dice capo di Agosta: l’armata restò sull’ancore in quel mare.
      Imilcone al tempo stesso mosse da Messena con tutte le sue forze. L’armata comandata da Magone con tutto il naviglio si diresse a Nasso; l’esercito marciò verso il monte Tauro, che sta a cavaliere di Nasso, abitato da Siculi, i quali vi fabbricarono la città, che, dal monte sul quale fu posta, ebbe il nome di Tauromenio. Giuntovi, il Cartaginese volea direttamente avanzarsi verso Catana; ma una forte eruzione dell’Etna, che scese sino a quel lido, l’obbligò a circuire tutto il monte. Ordinò all’ammiraglio di navigare verso Catana ed aspettarvelo.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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