Corsovi sopra cinque di esse, la presero. Mentre la menavano in città, quaranta delle galee cartaginesi vennero per ritorgliela. Mosse contro a queste tutto il resto dell’armata siracusana. Sanguinoso fu il conflitto, che ne seguì. Finalmente venne fatto ai Siracusani di prendere e colare a fondo ventiquattro delle galee nemiche; tra le quali la capitana venne in loro potere. Le altre fuggirono inseguite da’ Siciliani, che gonfi di quel vantaggio, cominciarono a provocare a battaglia tutta l’armata nemica. I Cartaginesi sopraffatti dal caso imprevisto, non vollero cimentarsi più oltre.
Tale vittoria, riportata da’ Siracusani, assente il tiranno, esaltò gli animi loro a segno, che molti già venivano istigando il popolo a cacciar Dionigi e tornare al governo repubblicano; mentre l’esser egli lontano, e l’aver essi le armi in mano, davan loro buon destro da ciò. In questo, Dionigi fu di ritorno. Convocata l’assemblea del popolo, cominciò a lodare il coraggio de’ cittadini ed a far loro cuore; assicurandoli, che presto avrebbero avuta la desiderata pace. Era per licenziar l’adunanza, quando si levò il patrizio Teodoro, che pel suo valore era appresso i Siracusani tenuto da assai. Non è da sperare, costui disse, lieto fine alla presente guerra, finchè il comando è nelle mani di Dionigi; il quale ad altro non avea mirato sin allora, che a procurare la rovina delle città greche. E qui si die’ a rammentare le gloriose gesta e gli splendidi trionfi del re Gelone. Dionigi, ei soggiunse, può solo recarsi a vanto i tempî spogliati, i beni altrui appropriati, gli schiavi fatti liberi e cittadini, i cittadini, anche più illustri o messi a morte o cacciati in bando, una rocca eretta contro il popolo siracusano, anzichè contro l’esterno aggressore, la guardia di essa affidata, ai cittadini non già, ma agli sgherri e mercenarî suoi, ai quali avea diviso le terre di Siracusa.
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