Fatto mettere in punto nel piccolo porto ottanta delle sue galee, dispose che queste, comandate da Leptine e da Faracide, il domane sul far del giorno entrassero nel porto grande e corressero sopra l’armata nemica. Egli stesso venne fuori coll’esercito, nel cuor della notte, preparato ad attaccare il campo ed i forti che i Cartaginesi aveano eretti. Era fra la sua gente una schiera di mercenarî, prodi bensì, ma indocili e sediziosi. Per ismaltirli, ordinò loro che, di unita ad una mano di cavalli, attaccassero da un lato il campo nemico. Segretamente diede ordine ai cavalieri di ritirarsi celeramente, tosto che quelli fossero venuti all’assalto. Così fecero: quei meschini, sopraffatti dal numero, tutti vi perirono.
Mentre i Cartaginesi erano intesi a respingere quell’attacco, il tiranno col resto dell’esercito corse ad assalire i forti. In questo apparve l’armata siracusana, che a golfo lanciato veniva contro le navi cartaginesi. Somma fu allora la costernazione degli Affricani. Molti corsero sulle navi per difenderle; ma già, al primo urto delle galee siciliane, assai de’ legni loro erano stati fracassati. Rallentata la difesa de’ forti, l’un dopo l’altro caddero in mano de’ Siciliani. Superato quell’intoppo, Dionigi corse ad appiccare il foco a quaranta galee nemiche, ch’erano presso al lido. Fu vana ogni opera per ismorzar l’incendio; la fiamma rapidamente si appiccava da un legno all’altro. Coloro che sopra vi erano saltavano in terra, per ischivar la morte, e morte incontravano per mano dei Siracusani.
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