I Nassî, che forse a tal patto s’erano resi, ebbero libertà e cercarono stanza in altre città dell’isola.
Non pago di tal vantaggio, Dionigi credè opportuno il momento di trar vendetta da’ Reggini, pel rifiuto di dargli una moglie, e per la insolente risposta. Procuratosi prima l’amicizia delle città lungo lo stretto, imprese a sottomettere que’ Sicoli, che aveano edificato Tauromenio, i quali poteano essergli infesti nella spedizione che meditava. Nel cuor dell’inverno dell’anno 3o della 96 Olimpiade (394 a. C.), venne a cingere la città d’assedio. Nè l’asprezza dei luoghi, nè il rigore della stagione, per cui ogni cosa era piena di neve, lo disanimarono; che anzi, sperando che gli abitanti, fidati nelle naturali difese, fossero poco vigili nel far le scolte, per coglierli alla sprovveduta, una notte procellosa e senza luna, inerpicandosi per quelle bricche, gli venne fatto d’insignorirsi di uno dei forti, e facilitar la strada al resto dell’esercito per accostarsi alla città. Accorsovi gran numero i Tauromenî, volsero in fuga gli assalitori, de’ quali molti vi lasciarono le armi e molti la vita. Egli stesso, offeso gli occhi dal ghiado, ferito nel volto, cadde per un colpo ricevuto sulla corazza, e fu per restarvi preso; pure ebbe dicatti fuggire, lasciandovi tutta l’armatura, tranne l’usbergo.
Divulgatosi e forse con esagerazione, tal disastro, Messena ed Agrigento rinnegarono l’autorità di Dionigi e tornarono al governo popolare. Presto riebbe Messena con un tranello. Saputo che molti dei maggiorenti erano in voce d’essere suoi amici, pose ogni studio ad accrescere tali sospetti, per commettere male frai cittadini.
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